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giovedì 27 ottobre 2016

SORPRESA! TRUMP TORNA IN CORSA


Dato ormai per spacciato dopo lo scandalo delle sue dichiarazioni passate, particolarmente feroci e sessiste, dichiarazioni che gli avevano fatto perdere non solo l'appoggio della popolazione femminile (in realtà, purtroppo, non tutta) ma anche quello dei suoi stessi collaboratori oltre che affiliati allo stesso partito. Ma a quanto pare la memoria degli elettori è debole e ancora più insidioso potrebbe essere il meccanismo elettorale statunitense. Infatti per il meccanismo dei grandi elettori, il ruolo degli stati diventa decisivo a prescindere dalla popolazione votante. Ecco allora che la Florida torna a fare uno scherzetto ai democratici come avvenne, con le dovute differenze, nel 2000 con il repubblicano George Bush e il democratico Al Gore. Allora sotto accusa furono le schede elettorali di difficile consultazione e che erano complicate da utilizzare, molte di queste, infatti, furono rese nulle o considerate schede bianche, oggi, invece, lo scherzetto che Miami gioca ai democratici vede il ritorno delle preferenze e delle simpatie per Donald Trump che, stando ai sondaggi di Bloomberg sarebbe avanti di due punti su Hillary Clinton (45% contro 43%) ricordando comunque che resta un margine di errore di poco più di 3 punti percentuali. Sempre sul fronte dei numeri, infatti, ci vorrebbero 270 grandi elettori per aggiudicarsi la presidenza degli Stati Uniti e considerando che da sola la Florida ne offre 27 (nel 200 con Bush erano 25) è facile capire il perché delle dichiarazioni della Clinton la quale, una volta pubblicati i sondaggi a favore di Trump, ha subito gettato acqua sul fuoco dell'entusiasmo e ha detto agli elettori di non credere ai sondaggi.

La Florida ago della bilancia?

Il precedente della Florida, però, rischia di ripetersi anche per un altro motivo. Nel 2000 Al Gore, viste le difficoltà di voto denunciate dai democratici (preferenze difficili da esprimere e tantissimi voti contestati) non accettò subito il verdetto che assegnava la vittoria al suo avversario: prima di pronunciare lo storico discorso di accettazione della sconfitta, ormai ultima e unica tradizione rimasta nel carosello delle consultazioni presidenziali, preferì chiedere più di una verifica. Alla fine, come la storia insegna, accettò il verdetto (che avrebbe potuto contestare ulteriormente) in nome di una stabilità che la nazione aveva perso dopo 36 giorni di ricorsi legali e una sentenza della Corte Suprema che solo l'11 dicembre proclamò il vincitore con un margine di vantaggio di appena 537 voti. Ebbene in quest'occasione, invece, Donald Trump ha già dichiarato che potrebbe non accettare il risultato delle urne, contestandolo qualora non fosse a lui favorevole oppure risultasse un margine di distacco minimo e potenzialmente contestabile. Il che, considerando i numeri sopra elencati di un vantaggio di 2 punti percentuali su un margine statistico di errore del 3% potrebbe essere un'eventualità non certo rara.  

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